venerdì 29 aprile 2011

Fiabe? No, grazie!

Qualche giorno fa ho sentito una ex insegnante di scuola materna dire che le fiabe sono troppo "cariche" emotivamente e possono spaventare i bambini che le ascoltano, pertanto in classe non le aveva mai lette:
ho pensato che, in effetti, Pollicino o  Hansel e Gretel non sono certo un trattato di comicità...............................ma paragonate ai cartoni più noti (Bakugan, Gormiti, Dragonball) non saprei quale scegliere per  conciliare il sonno!

Non sono in grado di  addentrarmi nei significati psicopedagogici delle fiabe, a me basta pensare che, se usate in modo corretto, le fiabe restano un ottimo strumento di avvicinamento alla realtà, di comprensione di elementi causa/effetto e per affrontare le paure.

Innanzitutto la fiaba - a differenza della favola - ha come protagonisti non animali bensì essere umani (bambini, genitori, nonne........) quindi l'identificazione viene  naturale e poi c'è sempre un elemento magico (fata, principessa, orco, strega, giganti...) tipico nei bambini (si legge spesso che il modo infantile di vivere i rapporti con il reale è soprattutto magico:  un modo che va rispettato perchè aiuta ad esorcizzare le paure e i conflitti che ogni bambino porta con se').
Infine la struttura di una fiaba è sempre la stessa: uno schema iniziale, un evento destabilizzante che mette in difficoltà l'eroe/protagonista della storia, le peripezie dell'eroe, un aiuto esterno, e la fine. Oltre ad un fine: l'elemento teleologico.

Tutto questo può passare al bambino serenamente solo attraverso la lettura ad alta voce e con qualche piccolo segreto!

Il più valido strumento è L'INTENZIONALITA', ovvero un rapporto tra chi ascolta e chi legge/racconta: un ascolto attivo che interrompe, chiede spiegazioni, si spaventa e viene aiutato a superare la paura e un lettore altrettanto attivo (evitare la lettura dopo una giornata pesante............) che suscita l'attenzione, accetta le interruzioni (non 30 a pagina....., se possibile!) e spinge ad ascoltare, sottolineando con la voce le parole o i gesti o rallentando nei punti salienti della storia. Il lettore può anche modificare la fiaba o i messaggi che porta in base al grado di comprensione del bambino.

E' banale dirlo ma è evidente che la fiaba si racconta in base al momento della giornata o della vita del bambino e non apriori; questo perchè la fiaba non va censurata ma scelta e calibrata in base alla situazione.

lunedì 25 aprile 2011

travestimenti

I bambini affrontano la realtà in svariati modi e devo ammettere che hanno risorse infinite, finché non arrivano gli adulti e gliela sbattono in faccia (da qualche parte ho letto questa frase: "Il bambino ha cento lingue ma gliene rubano novantanove...".).

Per via della diffusa mancanza d'umorismo negli adulti, sfuggono le strategie messe in atto dai bambini per costruire le loro identità e la loro visione del mondo ma finché possono, i bambini fanno di tutto per rimanere intelligenti, per utilizzare tutte le loro facoltà senza aspettare il nostro permesso:  fanno subito uso di un'infinità quantità di "far finta" per loro molto strutturanti.

 Butto lì una citazione dotta:
nella Poetica Aristotele indica la metafora come la fonte della conoscenza: "La metafora è il trasferimento del nome di una cosa a un'altra cosa.".  Questo trasferimento rassomiglia molto all'uso che i bambini fanno dei burattini, delle marionette e dei travestimenti : si tratta di trasferire su un oggetto o una situazione parte dell'identità di un altro essere reale o immaginario. 
Si tratta, in sostanza, di "giocare" con altre identità con l'involontario intento di fare emergere la propria identità attraverso altre reali o immaginarie. E, perché no, può rafforzare la capacità di sapersi mettere "nei panni di un altro".


Ho osservato le mie due "belve" nei travestimenti: assumono ruoli, s'immedesimano in situazioni nuove, inventano nomi, luoghi, momenti.


Tutto questo si riversa, poi, nel disegno: svariati fogli (di dimensioni sempre maggiori......) che "raccontanto" storie inventate o ripescate (e tradotte con la loro fantasia) dalla realtà.



Io lascio fare, convinta che da questo modo di giocare possa emergere la loro personalità, ma quanto sarà veramente così? Quanto si scontrerà con l'apprendimento scolastico tradizionale e la necessità di imparare astrattamente scrittura, numeri,....in tempi non legati alla persona ma "ai programmi ministeriali"?

Intanto mi consolo con un'altra citazione:
"Comunicare per simboli animando paradossi, non è meno importante che comunicare per parole; qualche volta è il solo modo di comunicare per il bambino (Rodari)".

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