
Si è molto parlato di questo albo senza parole che sto per presentarvi, Il Barbaro – edito in Italia da Gallucci – e sempre in termini entusiastici, ma noi l’abbiamo apprezzato solo di recente: i miei figli, soprattutto il più grande, l’avevano associato ad un racconto storico e, per questo, accantonato.
Così come faccio di solito, non ho insistito e ho lasciato l'albo restasse in giro per casa sino all'approccio spontaneo. Approccio che ha stupito e strappato più di un sorriso. Direi un sorriso sornione, d'intesa.
Originale perché è quasi un indovinello. Sin dall’inizio lascia presagire un’altra verità ma – ne sono certa – neppure il più attento osservatore riuscirà a carpire dove vuole portarci l’autore, se non arrivando a sfogliare l’ultima pagina, quella della rivelazione.
Cosa racconta Il barbaro? Quello che si “legge” alla prima lettura è un viaggio. Un viaggio periglioso e fitto di avversità compiuto da un cavaliere sul suo cavallo. L’uomo coraggioso nella sua armatura sfida e supera bestie feroci, creature mitologiche, minacce naturali. Va su su su, e poi giù giù giù, aggirando ostacoli, schivando armi e nemici, sempre mantenendo lo sguardo fiero e il contegno di un uomo che sembra essere quasi indifferente a tutto quello che gli capita. Il barbaro affronta i pericoli ad occhi chiusi, spavaldo non teme niente e nessuno, va avanti sul suo cavallo e la piccola spada.
Questo libro è senza dubbio uno dei pochi albi capace di puntare l’attenzione sul punto di vista del bambino: l’adulto è un osservatore, anzi è lo spettatore che il bambino invita ad ascoltare. Spesso con i bambini e i ragazzi troppe parole, spiegazioni, voci, non colpiscono
il segno, mentre uno sguardo, un gesto o una serie di illustrazioni – minimali ma efficaci come queste – ci possono far capire molto del mondo interiore dei più piccoli.
E’ la classica situazione in cui sfogli l’albo e mentre lo sguardo si sofferma su ogni pagina – ciascuna è un quadro a sé, splendidamente compiuto nel tratto e nella scelta dei colori – immagini: avventure epiche?, riferimenti storici? Invece la risposta è più semplice del previsto, molto più vicina e familiare di quello che supponevamo. Si tratta di un grande e fantastico gioco, a cui non si vorrebbe mai porre fine.

Un plauso davvero va a Renato Moriconi:
ha condensato in una quarantina di pagine un capitolo di pedagogia, senza
dimenticare il gusto per i colori acquerellati e offrendo ritmo, movimento e
una novità in ogni facciata. Credo abbia voluto regalare ai bambini un
sorriso e a noi genitori un’intuizione: quando richiamiamo – per fretta o per
necessità – i nostri figli da un gioco, dobbiamo rammentare che è come se li
ridestassimo da un sogno. Io mi arrabbierei, voi no?
La recensione è già apparsa su www.milkbook.it
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